Gli ulivi sono come i figli. Non te ne accorgi e in poco tempo hanno vent’anni. Penso a questo osservando una “chiusa” che quando cominciò l’avventura di “Frantoi Aperti”, nel 1997, ancora non c’era.
Questi ulivi rigogliosi e produttivi, curati dagli occhi attenti degli agronomi, attraversati da rombanti trattori, sistemati da potatrici pneumatiche, raccolti da rumorosi bacchiatori, vivono oggi una vera rivoluzione colturale che faticosamente sta vincendo consuetudini e tradizioni che in molti casi erano immutate da secoli.
Venti anni sono un periodo lungo. In alcuni casi non accade un granché, in altri si fanno rivoluzioni. Nel caso dell’olivicoltura umbra, quasi nulla è più come prima: nel 1997 non c’era la Dop, si cominciava la raccolta a fine novembre, si mettevano le olive nei sacchi di iuta, ancora in tanti frantoi erano le grandi macine di pietra a scandire i tempi di lavorazione e si prendeva spesso l’olio sfuso, in contenitori molte volte improvvisati.
Un’immagine che sembra ormai appartenere a una storia lontana. In quegli anni, in quell’incubatore di idee che è stato per diversi anni il Centro Agroalimentare dell’Umbria guidato dall’imprenditore Marco Caprai, nasce l’embrione di “Frantoi Aperti” di oggi, nel solco di quella prima timida esperienza di turismo esperienziale costruita intorno alle cantine produttrici di vino. Aprire i frantoi in quegli anni sembrava una eresia: luoghi spesso impreparati all’accoglienza di visitatori, opifici senza fronzoli, grigi e impregnati di odori acri di morchie, pensati solo per estrarre e conservare olio. Tutto concentrato in un week end di novembre per vedere l’effetto che faceva.
La prima volta fu confortante, al punto che si pensò di ripeterla. Da lì sono già passati venti inverni. Il marchio registrato “Frantoi Aperti” ha consentito all’Umbria di fregiarsi di questa primazia e di conservarla ancora oggi, a corollario di un basico produrre che abbisogna come il pane di divulgazione e conoscenza verso i nuovi “clienti” dell’Olio, non più semplici consumatori da supermercato, ma appassionati cercatori di cose buone.
Oggi i Frantoi sono diventati moderni e accoglienti, si aprono sale degustazioni, spazi dove mostrare prodotti dal packaging accattivante, funzionale, colorato, antimacchia, che stanno consegnando all’archeologia commerciale le bottiglie tradizionali di liquido giallo.
L’olio, comunemente, banalmente denominato, sta scomparendo per lasciare il posto agli “oli”; una declinazione plurale che rende finalmente merito ad uno straordinario pezzo della nostra alimentazione. Dop e monovarietali, stanno diventando dei veri ambasciatori di territorio, carichi di profumi e aromi che impianti moderni riescono a tirar fuori dalle piccole drupe, coccolate e blandite come mai prima d’ora.
Ad essere rimasti immutati sono alcuni riti, il “boccione” di vino “nero” in bella vista accanto al filone del pane sciapo, la graticola sempre calda per approntare la bruschetta con l’olio nuovo per gli avventori, clienti o produttori che siano.
Nel Frantoio, complice la natura ancora in buona parte familiare dell’azienda agricola e la presenza nutrita di piccoli proprietari che moliscono le loro olive, si trova un ambiente caldo e informale, in cui si intrecciano discussioni animate che vanno dal calcio alle “rese” dell’olio, fino alle discussioni sulle vicende di paese. I temi che normalmente trovi nei bar di campagna, per un paio di mesi si trasferiscono in questi luoghi carichi degli odori intensi della molitura. Poche manifestazioni hanno il carico emozionale che ha Frantoi Aperti.
Oggi grazie a questo evento, che lega le piazze medievali dei borghi e luoghi di produzione, la nuova stagione dell’Olio diventa l’anima vibrante dell’Umbria autunnale. Per questo, dopo 20 anni, di “Frantoi Aperti” si può dire tutto il bene del mondo: un evento che ha anticipato il marketing territoriale; che fa rete; che offre una ribalta inconsueta a un rito che è quasi aristocratico, patrimonio del popolo delle campagne; che educa non solo al buono, al pulito e al giusto, ma anche al bello; che invita a vivere l’Umbria insolita, nebbiosa, indolente, più rossa che verde; che si prepara a sonnecchiare prima del lungo inverno, ma che offre il meglio dei frutti della sua terra, dal vino, ai funghi e ai tartufi.
Ecco, “Frantoi Aperti” quest’anno è un libro aperto che comincia il 28 ottobre e finisce il 26 novembre. Un racconto che stupisce ad ogni pagina, che emoziona, che si legge d’un fiato e che quando è finito lascia le dita unte di un inchiostro verde smeraldo che ha la particolarità di essere edibile.
Un racconto autentico che si offre per un mese intero al turista, appassionato o semplice curioso. Con intorno le piazze addobbate a festa, le degustazioni e la possibilità di riportarsi indietro un pezzo di questi sapori di queste storie dentro una lattina o una bottiglia di olio nuovo. Ma la differenza più grande rispetto a venti anni fa è che, entrando nelle aziende, non trovi più il contadino sessantenne aggrottato e incerto sul destino, ma giovani motivati e carichi di entusiasmo che ti parlano di un olio declinato al futuro, di sostenibilità, di salute, di innovazione, di un modello di vita che torna ad avere radici solide nella terra.
Guardando alle ultime grame e quasi strazianti annate olearie verrebbe da piangere. Ma poi, avendo il privilegio di assaggiare il primo olio già mentre scrivo, i primi giorni di ottobre, vengo sopraffatto da profumi e sapori che inebriano e mettono allegrezza. Il rito del pane e dell’olio è un formidabile propiziatore di buona ventura.
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Michela Federici – Giornalista
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