L’Orvietano. Vecchia Storia e storie nuove.
Infine, l’approdo. Sotto gli occhi del viaggiatore stanco dopo tanto girare ma sempre più desideroso di nuove emozioni, scorre il biondo Tevere, il fiume del tempo “al ciel prediletto” come lo definì Virgilio, grande tra i più grandi del mondo, non certo per dimensioni ma perché sulle sue sponde e sulle sue acque i popoli italici hanno scritto la loro storia e modellato la propria civiltà.
Si conclude così nell’Orvietano, un altro lembo favoloso di una terra unica, questo ”andirivieni” inconsueto ed instancabile, su e giù per l’Umbria attraverso l’affascinante “strada dell’olio”, tra l’argento degli ulivi, l’odore acre dei frantoi, i ristoranti tipici, gli eventi, le leggende, i beni culturali, le infinite manifestazioni di arte e di fede.
Un patrimonio d’incalcolabile valore che si nasconde timoroso quasi di apparire o, al contrario, si mostra con orgoglio in borghi e città, tra monti e colline, in assolate pianure, lungo corsi d’acqua, a picco sui laghi.
Fonte continua di stupore, come quello che si prova di fronte al monastero di Sant’Angelo in Pantanelli dove, si racconta, Iacopone da Todi compose la celebre “Stabat mater”. Oppure, davanti a tesori archeologici quali le tombe etrusche dipinte nella necropoli della Molinella e le due tombe Golini in quella di Settecamini, i cui affreschi si trovano ora nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Orvieto.
Città questa, appunto, sacra agli Etruschi, città del tempo e senza tempo, la quale fonde magicamente assoluto rigore e spericolata fantasia che trovano la massima espressione nel Duomo di straordinaria bellezza e in quel capolavoro di ingegneria idraulica che è il Pozzo di San Patrizio.
Ma gli incontri sconvolgenti sembrano non finire mai. Quello con la città di Guardea che vola alto diffondendo valori come altruismo, unione, pace e fratellanza, simboleggiati dall’Arco della Coscienza Planetaria, una grande costruzione realizzata con pietre inviate da ogni parte del mondo ed in particolare da quei luoghi dove la convivenza tra gli uomini è stata maggiormente disattesa ed offesa.
Impareggiabile la vista delle colline fiorite di ulivi che rendono Montecchio il primo Comune della zona per la produzione dell’olio, un extravergine dallo splendido color verde intenso leggermente amarognolo e piccante. Immancabile, quindi, una visita a Todi e alla incomparabile Piazza del Popolo dove si fronteggiano fieri i palazzi simbolo del potere laico e di quello religioso.
E dopo un sentito omaggio a Monte Castello di Vibio, borgo bomboniera che vanta il Teatro più piccolo del mondo, si può concludere in bellezza il viaggio a Montegabbione.
L’opera è rimasta incompiuta, ma disattendendo le volontà del suo artefice, è stata salvata dalla morsa distruttrice del tempo.
La “città ideale“ sta dunque ancora al suo posto a testimoniare, attraverso gli stravaganti ed (apparentemente) indecifrabili giochi creativi che contraddistinguono la sua forma e la sua sostanza, come si possa smarrire il senso della realtà e ritrovare invece il vero senso della vita, raggiungendo la piena armonia spirituale.
Questo in definitiva il suo compito: perpetuare il messaggio di San Francesco, il “poverello” di Assisi la cui figura, dall’ Umbria “vella, ripiena de splennore, de mistica vontà, de pace e amore” adorna di ulivi e di viti che la rendono inconfondibile, irradia in ogni dove la luce della speranza. per ammirare una “presenza” così conturbante da rimanere come folgorati: la Scarzuola, antico convento in cima ad una collina fondato da San Francesco e trasformato, verso la metà del secolo scorso dall’architetto milanese Tommaso Buzzi, in una “città ideale” che chiamò “Buzziana”, con uno sfoggio di fantasia architettonica e di profondità ideale senza uguali.